Così, ora, la Corte d’Appello di Milano dovrà riesaminare il caso applicando il principio stabilito dalla Corte di Cassazione e per l’effetto dovrà verificare la veridicità in fatto dei suddetti comportamenti.
Infatti, i giudici di merito, nonostante le istanze del padre, avevano omesso di indagare sulle cause del rifiuto manifestato dalla figlia, nonchè avevano omesso di attuare misure specifiche e dirette a ristabilire i contatti con il padre; gli interventi anche terapeutici posti in essere erano stati gravemente inadeguati e dannosi per lo stato psicofisico della minore.
Operatori ed interpreti del diritto sovente avevano infatti negato indagini in tale direzione, forti del fatto che la sindrome di <<alienazione parentale>> non è stata inserita nel DSM5 come PAD (Parental Alienation Disorder) tra i disturbi mentali (seppure in tale Manuale, il comitato abbia invece deciso di includere rimandi espliciti al fenomeno sottostante, ma senza etichettarlo come tale).
La sindrome di alienazione genitoriale come fenomeno è sempre stata conosciuta ma è stata descritta come tale per la prima volta nel 1985 dallo psichiatra Richard Alan Gardner che l’ha definita come un disturbo che insorge primariamente nel contesto di conflitti sull’affido dei figli e la cui <<principale manifestazione è la campagna denigratoria di un bambino contro un genitore, campagna che non ha giustificazione>>.
Nel 2010, William Bernet, che ha preferito parlare di un <<disturbo>> di alienazione, ha affermato che normalmente esso si verifica nel corso di un divorzio molto conflittuale, e ne ha descritto alcune manifestazioni, tra cui quella essenziale di alleanza del minore con un genitore (il genitore preferito) e di rifiuto della relazione con l’altro genitore (il genitore rifiutato) senza una legittima giustificazione. Tale disturbo risulta dalla combinazione di indottrinamento dal genitore alienante e i contributi propri del bambino allo svilimento del genitore alienato.
Precisazione importante avanzata da Gardner, Bernet e dagli altri studiosi che si sono occupati dell’alienazione parentale, è che l’astio del bambino sia ingiustificato: non si ha alienazione parentale quando il genitore odiato ad esempio abbia compiuto abusi sul bambino, essendo giustificato in tal caso l’astio del bambino e/o la campagna denigratoria dell’altro genitore. Va quindi tracciato un ideale continuum che, prescindendo dalle normali simpatie o antipatie che un figlio può preferenzialmente mostrare verso un genitore, a un estremo ha le situazioni di reali abusi, dove l’astio è giustificato, e all’altro estremo ha le situazioni di alienazione parentale, dove l’astio non è giustificato.