…ed in quanto non abbia accettato l’eredità.

Ancora una volta, la Suprema Corte di Cassazione si è espressa  sulla questione relativa alla trasmissibilità agli eredi dei debiti tributari che erano in capo al de cuius. Vediamo nel dettaglio…

La scomparsa di un proprio caro, si sa, è sempre un evento emotivamente drammatico.

A volte, però, gli eredi del defunto  devono occuparsi anche di questioni pratiche e devono farlo con molta attenzione, in primis accertando la consistenza della massa ereditaria passiva senza lasciarsi ingannare da apparenti “tesoretti” lasciati dal caro che fu.

Verificata la presenza di debiti, dovranno valutare i pro e i contro onde decidere se accettare l’eredità, condizione quest’ultima per succedere nei diritti ed obblighi del proprio caro.

A tale proposito, la Suprema Corte ha ancora una volta ribadito il medesimo principio con riferimento specifico ai debiti di natura tributaria, ed in particolare ha posto l’accento sulla distribuzione dell’onere della prova circa l’avvenuta accettazione dell’eredità…

Debiti tributari del de cuius: il caso

L’Agenzia delle Entrate emetteva un avviso di accertamento ai fini IVA, IRAP ed IRPIT per l’anno d’imposta 2004, a seguito delle risultanze della verifica fiscale condotta dalla G.d.F.  sulla scorta della quale assumeva che il contribuente, esercente l’attività di agente di commercio (nello specifico, informatore scientifico), aveva omesso di annotare le fatture emesse nei confronti dei propri clienti e di presentare le dichiarazioni reddituali per gli anni dal 1999 al 2005.

Poiché il contribuente era deceduto, l’avviso di accertamento era notificato agli eredi che, avverso il medesimo, ricorrevano dinnanzi alla Commissione Tributaria Provinciale competente territorialmente vincendo sia in primo grado, sia in secondo grado proprio in considerazione dell’assenza del presupposto giuridico: i chiamati infatti non avevano accettato l’eredità.

Avverso tale decisione, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per Cassazione.

 Debiti tributari del de cuius: la decisione della Corte di Cassazione

Con l’ordinanza emessa il 06 luglio 2018, n. 17970, i giudici della Suprema Corte rigettavano il ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate sul presupposto che, l’accettazione dell’eredità è una condizione imprescindibile affinché possa configurarsi l’obbligo dell’erede chiamato al pagamento.

Incidentalmente, i giudici di piazza Cavour, hanno ribadito l’orientamento già consolidato in precedenti decisioni della stessa Corte, che: «la delazione che segue l’apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non è di per sè sola sufficiente all’acquisto della qualità di erede, perché a tale effetto è necessaria anche, da parte del chiamato, l’accettazione mediante “aditio” oppure per effetto di “pro herede gestio” oppure per la ricorrenza delle condizioni di cui all’art. 485 c.c.” (Cass. n. 6479/2002; n. 11634/1991; n. 1885/1988; 2489/1987; n. 4520/1984; n. 125/1983) ».

L’erede designato, per essere considerato erede accettante, deve aver o esplicitato detta volontà con le modalità dettate dal codice civile (accettazione espressa) ovvero deve aver tenuto un comportamento c.d. per facta concludentia incompatibile con la rinuncia (accettazione tacita).

Fermo il principio di cui sopra, la Suprema Corte, sempre sulla scia di precedenti decisioni su casi analoghi, ha ribadito che la prova dell’avvenuta accettazione incombe sull’amministrazione finanziaria, in quanto «spetta a colui che agisca in giudizio nei confronti del preteso erede per debiti del “de cuius”, l’onere di provare, in applicazione del principio generale contenuto nell’art. 2697 c.c, “l’assunzione da parte del convenuto della qualità di erede, qualità che non può desumersi dalla mera chiamata all’eredità, non essendo prevista alcuna presunzione in tal senso, ma consegue solo all’accettazione dell’eredità, espressa o tacita, la cui ricorrenza rappresenta un elemento costitutivo del diritto azionato nei confronti del soggetto evocato in giudizio nella sua qualità di erede” (Cass. n. 6479/2002; n. 2849/1992; n. 1885/1988; n. 2489/1987; n. 5105/1985; n. 4520/1984; n. 125/1983)».

Ciò che in questo caso salta agli occhi degli addetti ai lavori – con buona pace dei chiamati all’eredità dei “contribuenti”- è la circostanza che l’amministrazione finanziaria sia tenuta, come i privati cittadini, a dimostrare i presupposti delle proprie pretese.

Come poi possa essere data la prova dell’avvenuta accettazione dell’eredità, la Suprema Corte ha evidenziato che non può essere costituita dalla mera presentazione della denuncia di successione, che «non ha alcun rilievo ai fini dell’accettazione dell’eredità», avendo la stessa unicamente valenza fiscale e costituendo un obbligo di legge da eseguirsi entro il termine di un anno dall’evento morte.

In ultimo, ad ulteriore vantaggio e soddisfazione per gli eredi citati in causa, gli Ermellini hanno condannato  l’amministrazione finanziaria alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidando un importo peraltro di non esiguo rilievo.

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