La sentenza
Il tribunale di Milano (sez. I civile, ordinanza 3 giugno 2016, est. Laura Cosmai), a scioglimento della riserva assunta in data 31.5.2016 durante la quale ha <<ascoltato>> la ragazza minorenne (seppur prossima al raggiungimento della maggiore età), accogliendo il ricorso paterno ha autorizzato a che la stessa intraprendesse una vacanza studio in Australia.
Il giudice che ne ha curato l’istruttoria ha ritenuto fondamentale ed imprescindibile procedere con l’audizione dell’interessata, in applicazione della norma di cui all’art. 315 bis c.c. che impone all’autorità giudiziaria di procedere all’ascolto del minore <<in tutti i procedimenti>> che lo riguardano.
Al di là della fattispecie concreta all’esame del tribunale, appare interessante l’incidentale osservazione del giudicante nella parte motiva, laddove evidenzia che <<se è vero che è compito del giudice procedere all’audizione dei minori in caso di contrasto tra i genitori avuto riguardo a scelte che li coinvolgono, tale compito è secondario rispetto a quello primario dei genitori di ascoltare i propri figli>> al fine di <<attuare le migliori scelte nel rispetto “ dei desideri, delle aspirazioni e delle inclinazioni” della figlia>>. Ove ciò fosse accaduto, peraltro, il genitore “non ascoltante” avrebbe evitato un ulteriore accesso all’autorità giudiziaria (si trattava del quarto sub procedimento all’interno della procedura di separazione) che, come altri inopportuni procedimenti, contribuiscono ad intasare la macchina della giustizia.
A chiusura della motivazione, il tribunale ha inoltre precisato che il mancato esercizio del dovere di ascoltare la figlia da parte della madre (che nella fattispecie era il genitore contrario ed al quale la volontà di fare l’esperienza vacanza studio era stata chiaramente esposta dalla figlia), oltre a costituire un aspetto di cui si dovrà tenere conto ai fini della spese della lite (in ordine alle quali verrà deciso in sentenza di separazione), è altresì un profilo <<che non potrà non essere valutato anche ai fini relativi ai profili della genitorialità>>!
La parte motiva mi fornisce l’occasione e lo spunto per dar voce ad alcune riflessioni che vogliono segnalare le difficoltà comunicative e relazionali presenti nel nostro assetto socio-culturale e conseguentemente anche giuridico nel quale i nostri figli crescono, che hanno in parte ereditato da noi genitori ed in parte è il prodotto di una multiculturalità e di un’era digitale nella quale complessivamente ci muoviamo noi adulti impreparati, privi di adeguata competenza, a soddisfare le loro esigenze educative.
Perciò, noi genitori ci troviamo a volte costretti ad improvvisare, a volte a replicare anche inconsapevolmente sistemi ormai desueti, in un contesto che è molto diverso dalla realtà dalla quale proveniamo che era più semplicistica e dunque più definita, senza con ciò voler intendere migliore o peggiore.
L’aforisma <<figli si nasce, genitori si diventa>> oggi si veste, infatti, di una molteplicità di connotazioni legate a questa epoca aggravata dal bombardamento multiculturale, appesantita dalla velocità dei cambiamenti e dalle accelerazioni in molti settori della vita umana che portano tutti insieme una moltitudine di sfide rispetto alle quali specialmente noi adulti fatichiamo a stare al passo.
In questo contesto, in cui a volte nascono il desiderio di difendersi chiudendosi dietro a proprie certezze e l’istinto di afferrare il megafono per affermarle, noi adulti in quanto tali dobbiamo fermarci a riflettere non potendo limitarci ad applicare in automatico vecchi e desueti sistemi educativi, replicando quelli vissuti nel ruolo di figli di un assetto sociale e culturale nel quale il fanciullo veniva mediamente riconosciuto come un contenitore da riempire di nozioni e da plasmare.
Da allora ad oggi, all’individuo (che peraltro starebbe a significare etimologicamente “indiviso”, inseparabile) è stata progressivamente riconosciuta la sua particolarità, unicità che a seguire è stata difesa e tradotta in norme giuridiche attraverso il riconoscimento di diritti connessi alla persona ed alla personalità sin dalla sua nascita.
Le norme di diritto
Ciò premesso, il giudice milanese ha applicato l’art. 337 octies (con la rubrica “Poteri del giudice e ascolto del minore” nel capo relativo all’esercizio della responsabilità genitoriale nei casi in cui sia intervenuta la rottura del rapporto tra i genitori) aggiunto al nostro codice civile con D. Lgs. n. 154 del 2013, e disciplinante il dovere del giudice di disporre <<l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento>> con la sola eccezione (sulla carta) nella quale << nei procedimenti in cui si omologa o si prende atto di un accordo dei genitori, relativo alle condizioni di affidamento dei figli>> l’ascolto sia <<in contrasto con l’interesse del minore o manifestamente superfluo>>.
Ma, prima ancora che il legisaltore aggiungesse la norma di cui sopra, il diritto – dovere all’ <<ascolto>> aveva già fatto il suo ingresso in Italia con l’introduzione dell’art. 315 bis del codice civile per opera della legge n. 219 del 2012 che ha recepito a sua volta la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20.11.1989, ratificata con L. 27.5.1991 n. 176.
L’art. 12 di detta Convenzione, impone agli Stati aderenti di garantire (più genericamente) al <<fanciullo capace di discernimento>> <<il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa, le opinioni del fanciullo essendo debitamente prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità. A tal fine, si darà in particolare al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale”.
A seguire, dunque, l’art. 315 bis del codice civile, nel Capo relativo ai <<diritti e doveri del figlio>> che come di seguito recita che <<Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni. Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti. Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano (omissis).>>
L’opportunità di acquisire competenza
Quindi, al di là e prima ancora che sia il giudice (od altri suoi ausiliari per suo conto) ad ascoltare il minore dodicenne <<nelle procedure che lo riguardano>>, sono chiamati i genitori ad esercitare il relativo dovere <<in tutte le questioni>> attinenti il figlio, le cui opinioni devono essere dallo stesso liberamente espresse e prese in considerazione dagli adulti di riferimento.
A discolpa del genitore di buona fede (che abbia almeno come obiettivo unico il supremo bene e l’interesse della prole), reputo che sia doveroso fare un passo indietro per evidenziare che siamo nati e cresciuti in un contesto socio culturale in cui l’individuo non è stato mai addestrato a porre attenzione all’altro ed in ascolto dell’altro, e verosimilmente per molti aspetti neanche di se stesso.
Forse, anzi senz’altro, non abbiamo neanche imparato a comunicare, ad esprimerci compiutamente, presumibilmente poiché non ci era richiesto, non era necessario, anzi addirittura inutile non essendoci dall’altra parte nessuno disponibile ad ascoltare.
Quante volte ci è capitato di sentir dire o di proferire noi stessi la domanda <<…ma mi ascolti?>>!
In generale, l’esigenza di essere ascoltati ed, in particolare, la sua traduzione in termini di doveri e di diritti rispetto ai minori, sono di recente riconoscimento, tanto che fioriscono in ogni dove “sportelli di ascolto” gestiti da persone disposte a farlo e specializzate in tal senso, alle quali abbiamo dovuto delegare tale compito. Tuttavia, ci sono ancora antiche resistenze culturali ad approcciarsi a tali centri, come a voler negare a se stessi e/o agli altri tale necessità. Si pensi che all’interno delle scuole, nella migliore delle ipotesi, si trovano buchette della posta nelle quali (eventualmente) i ragazzi possano nell’anonimato infilare lettere di richieste di ascolto, senza che tuttavia venga parallelamente e concretamente promossa la cultura e messi in atto metodi idonei a sviluppare una corretta comunicazione all’interno dei gruppi classe, tramite laboratori ed altro.
In sostanza, non essendo la persona comune -anche ove disposta- in grado di ascoltare, ci si deve al fine rivolgere a persone specializzate per potersi esprimere liberamente, divenire consapevoli, rispettare se stessi e gli altri.
Su internet, digitando la parola <<ascolto>>, appaiono numerosi siti che illustrano il senso -non etimologico del termine (che origina dalla parola latina auris= orecchio e quindi si limiterebbe al <<porgere l’orecchio>>) bensì- acquisito nell’ormai comune sentire: si esplora un terreno che viaggia in direzione di un ascolto attivo ed empatico che conosce vere e proprie tecniche, fino ad identificare in tale attività una vera e propria arte al punto che sono sbocciate e sbocciano nuove professioni competenti ad esercitarla.
E così noi adulti di oggi, assorbiti da impegni e responsabilità, ci troviamo buttati in mezzo alla mischia delle molteplici e continuamente mutevoli difficoltà da affrontare per sopravvivere ed essere al contempo “buoni” genitori, spaesati dalle diversità educative, gravati dalla gestione familiare appesantita da problemi di natura economica, lavorativa e sociale che si affacciano nella nostra vita e che si accavallano tra loro.
In tale contesto, tuttavia, la pretesa riversata su noi genitori di ascoltare i nostri figli è <<buona e giusta>>, doverosa da soddisfare, necessaria ed urgente.
L’arte di ascoltare…
Saper ascoltare, non facendo ad oggi parte del nostro corredo cromosomico, è un’abilità, una capacità che richiede energia, conoscenza, esercizio, approfondimento e che ancora prima presuppone una buona dose di umiltà, una forte motivazione a svilupparla, una consapevolezza della urgente necessità, ed a seguire una volontà “saggia e buona” che ci guidi in questo percorso.
Non è questa la sede opportuna nella quale approfondire che cosa debba intendersi per <<ascolto>>, volendo essere queste riflessioni unicamente una rampa di lancio ed un invito ad iniziare o quanto meno ad esplorare il profondo senso di questo diritto che dovrebbe essere nei fatti riconosciuto ad ogni essere umano.
Credo infatti che tale abilità, una volta acquisita, possa costituire, in questa società confusa, una valida chiave di accesso alla via dei retti rapporti con se stessi e con gli altri, che tutti dovremmo apprendere ed esercitare.